Le Rimanenze di magazzino in tempi di Covid (e non solo).

L’emergenza socio-sanitaria legata alla Pandemia da Covid/19 e la conseguente crisi economica, dovuta anche ai provvedimenti di sospensione delle attività ed in generale a tutte le limitazioni tuttora esistenti, ha avuto un forte impatto sulla gestione delle giacenze di magazzino da parte di molte imprese, soprattutto da quelle che operano in settori caratterizzati da obsolescenza tecnica o legata al fattore moda.

Si assiste ad una generalizzata svalutazione delle giacenze e, in molti casi, anche alle vendite “sottocosto” dei prodotti, per far fronte ad imminenti esigenze finanziarie, o alla distruzione dei prodotti divenuti oramai invendibili, anche al fine di evitare inutili costi di deposito o logistica.

È bene precisare che, affinché queste operazioni aziendali, siano opponibili al fisco, in caso di un controllo fiscale è sempre necessario rispettare alcune procedure burocratiche, che talvolta vanno aggiornandosi, in funzione anche delle pronunce giurisprudenziali.

In base all’articolo 1 del Dpr 441/1997 si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti. La presunzione di cessione opera in uno di questi casi:

  • in presenza di un riscontro fisico effettuato al momento dell’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche fiscali volto a rilevare i beni esistenti nei luoghi di svolgimento delle operazioni del contribuente;
  • in presenza di un riscontro contabile volto a rilevare eventuali differenze inventariali tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui alla lettera d) dell’articolo 14 del Dpr 600/1973 o della documentazione obbligatoria emessa o ricevuta e la consistenza delle rimanenze registrate dal contribuente.

In tali circostanze e in relazione ai beni non rinvenuti nel magazzino od oggetto di differenze inventariali, l’amministrazione finanziaria contesta l’esistenza di un maggior imponibile ai fini Iva ed un maggior reddito ai fini delle imposte dirette, perché presume che i beni non rinvenuti siano stati venduti “in nero”.

Tale presunzione di cessione non opera se il contribuente prova che i beni:

  • sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti;
  • sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di opera, appalto, trasporto, mandato, commissione odi altro titolo non traslativo della proprietà.

Particolarmente rilevante è il caso della distruzione dei beni obsoleti ed oramai privi di valore di mercato.

In questo caso spetta al contribuente provare la distruzione dei beni tramite:

  • una comunicazione scritta da inviare gli uffici dell’amministrazione finanziaria;
  • un verbale redatto da pubblici funzionari, da ufficiali della Guardia di finanza o da notai che hanno presenziato alla distruzione o alla trasformazione dei beni;
  • nel caso in cui l’ammontare del costo dei beni distrutti o trasformati non sia superiore a 10mila euro, da dichiarazione sostitutiva di atto notorio;
  • la predisposizione del documento di trasporto, progressivamente numerato, relativo al trasporto dei beni eventualmente risultanti dalla distruzione o trasformazione.

Di estrema rilevanza appare in questo contesto la recente pronuncia della Corte di Cassazione che con l’ordinanza n° 26223 del 28 settembre 2021, che sancisce che i beni non rinvenuti nel magazzino non si possono considerare presuntivamente ceduti se il contribuente è in possesso del formulario di identificazione dei rifiuti che ne provi l’avvenuta distruzione.

Pertanto qualora l’impresa decida di affidare i beni da avviare a distruzione a soggetti autorizzati ai sensi delle leggi sullo smaltimento rifiuti, la prova di distruzione dei beni è data dall’annotazione sul formulario di identificazione di cui all’articolo 15 D.Lgs. 22/1997 (cfr., Cass. sent. 19.12.2019, n. 34038/2019 e Circ. 23.07.1998, n. 193).

Tale formulario dovrà contenere indicazioni specifiche relative al nome e all’indirizzo del produttore detentore; origini, tipologia e quantità del rifiuto; impianto di destinazione; data e percorso dell’istradamento; nome e indirizzo del destinatario ed in generale le tassative le indicazioni specifiche richieste dalle prescrizioni,  integrate dal Dm 1° aprile 1998, n. 145.

Capita, nella prassi aziendale, che i beni non siano assolutamente privi di valore, ma che debbano essere ceduti “sottocosto” in particolare con le cosiddette vendite “in blocco” o “a stock” che, al fine di vincere le presunzioni di cessione, devono essere documentate, oltre che dalla fattura, anche dal documento di trasporto (Ddt, ai sensi del comma 5 dell'articolo 2 del Dpr 441/1997).

Quando invece i beni restino in giacenza al 31/12 diviene cruciale la corretta valutazione delle giacenze.

In particolare la svalutazione delle stesse è un obbligo ai fini civilistici, ma una facoltà ai fini fiscali.

Ai fini civilistici in bilancio vi è infatti l’obbligo di valutare le rimanenze di magazzino al minor valore tra quello di acquisto e quello di mercato.

Ai fini fiscali invece la svalutazione del magazzino è una mera facoltà dell’impresa, la quale se desidera che il minor valore della merce abbia effetti fiscali, deve necessariamente fornire la prova del criterio adottato nella svalutazione stessa.

Difatti, secondo quanto disposto dal comma 1, dell’art. 92 del Tuir, le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell'articolo 93, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato applicando i metodi FIFO, Costo Medio e LIFO a scatti annuali e relative varianti. Il successivo comma 5, stabilisce che qualora in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato con i suddetti metodi convenzionali, è superiore al valore normale medio di essi nell'ultimo mese dell'esercizio, il valore minimo di cui al comma 1, è determinato moltiplicando l'intera quantità dei beni, indipendentemente dall'esercizio di formazione, per il valore normale.

In altre parole, il Legislatore fiscale concede la possibilità di procedere alla svalutazione delle rimanenze finali al realizzarsi di determinati presupposti che, nella fattispecie, dovranno essere opportunamente comprovati dall’impresa attraverso elementi oggettivi.

È anzitutto assolutamente necessario predisporre delle distinte inventariali che diano prova della conta fisica dei beni in magazzino, raggruppati per categorie omogenee.

Per ogni gruppo omogeneo deve effettuarsi la valutazione secondo i criteri suddetti.

Se tali valori sono superiori rispetto a quelli ottenuti moltiplicando le giacenze di magazzino per il loro “valore normale”, può procedersi alla svalutazione.

Per individuare il valore normale occorre fare riferimento a quanto stabilito dall’art. 9, comma 3, del Tuir, il quale stabilisce che per valore normale “si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquistati o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o servizi e, in mancanza, alle mercuriali ed ai listini delle Camere di commercio ed alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso”.

Attenzione però, la mancanza della prova circa l’effettivo valore di mercato che deve essere riferito all’ultimo mese dell’esercizio, solitamente  dicembre, permette all’Amministrazione finanziaria di contestare la determinazione del valore normale utilizzato dal contribuente nelle proprie valutazioni e pretendere l'applicazione del valore storico di costo.

Spetta dunque all’impresa dimostrare l'effettivo minor valore di mercato dei beni in magazzino.

Pertanto, prima di procedere alla svalutazione del magazzino è necessario documentare esaustivamente il prezzo o corrispettivo mediamente praticato nel corso dell’ultimo mese dell’esercizio.  

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